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lunedì 6 febbraio 2017

Esclusiva il Notiziario / Intervista al Prof. Dott. Marco Plutino Docente in Diritto Costituzionale Università di Cassino

Esclusiva il Notiziario / Intervista al Prof. Dott. Marco Plutino Docente in Diritto Costituzionale Università di Cassino



intervista a cura di Gaetano Daniele



Prof. Dott. Marco Plutino
Docente in Diritto Costituzionale Università di Cassino

L'indomani del referendum costituzionale segna uno scenario difficile per il paese. I mercati sono nervosi e la situazione politica sembra quantomai ingarbugliata, non tanto per quanto riguarda l'azione di governo - incanalato verso una sorta di ordinaria amministrazione - ma circa lo scenario politico. Come incide in questo contesto la recente sentenza della Corte Costituzionale?

La sentenza della Corte sulla legittimita' della legge elettorale per la Camera dei Deputati era attesa da molti mesi e la politica ha ritenuto preferibile attendere il pronunciamento della Corte anziché provare ad anticiparlo. Un segno evidente di debolezza. La Corte pero' aveva paletti molto stretti per muoversi e ha sanzionato i punti più grossolanamente incostituzionali della legge, stando bene attenta a preservare la sua immediata applicabilità per consentire il voto in qualunque momento. La Corte però non poteva farsi carico della garanzia di una sufficiente omogeneità tra i due sistemi elettorali delle Camere, sulla cui necessità c'era un monito del Presidente della Repubblica. Ad oggi la classe politica è in bilico sia sulla doverosità di un intervento di razionalizzazione sia sul tipo di intervento da realizzare. A questo proposito la legge elettorale attualmente vigente per la Camera dei Deputati prevede un premio di maggioranza al primo turno che può essere incamerato soltanto se la lista più votata consegue almeno il 40% dei consensi.

Quali sono le opportunità e limiti di questa soluzione?

La soluzione attuale ha fatto risorgere un dibattito che sembrava superato. Dal 1998 si parla di partiti a vocazione maggioritaria ovvero tendenzialmente autosufficienti per costituire il governo. In realtà cio' non è mai avvenuto perché alle elezioni si sono presentate coalizioni palesi o mascherate. La pretesa egemonia del PD si e' infranta sui risultati delle elezioni amministrative, su quelli del Referendum e infine sulla caduta del governo. Renzi e' il segretario Pd ma non è un parlamentare. Attualmente abbiamo un sistema di partiti molto frammentato con tre poli grosso modo con la stessa capacità di attrazione del consenso: una delle situazioni peggiori che si possono immaginare in astratto. Il dibattito investe appunto l'opportunità di trasformare il premio alla lista in un premio esplicito a liste collegate, quindi ad una coalizione pre-elettorale come sostiene ad esempio Franceschini, ovvero se mantenere il premio alla lista. Dibattito in parte nominalistico, in parte no. La lista che si presenta alle elezioni può ben essere infatti una coalizione a tutti gli effetti gia' oggi, sia pure soltanto alla condizione che i partiti minori accertino di confluire nella lista del Partito maggiore con il suo simbolo, perdendo visibilità. Per alcuni partiti medi o medio-piccoli questo non è accettabile. Diversamente devi immaginarsi la presentazione di un simbolo apposito e quindi una coalizione a tutti gli effetti sia pure in forma monolista. Anche tale soluzione però potrebbe stare stretta ad alcuni partiti, come la Lega. In tal caso non resterebbe, se si coagula un consenso sufficiente, che modificare la legge elettorale per consentire apparentamenti formali. Personalmente andrei al sodo della questione, oltre questo profilo: non ritengo che valga la pena da parte di alcuno provare a conseguire quel 40%, che oggi appare a tutti gli analisti peraltro assolutamente irrealistico raggiungere. Punterei ad una situazione da annozero, ovvero la presentazione di ciascun partito in solitaria tenendo conto dei non irrilevanti sbarramenti esistenti, di modo che i cittadini possano ricominciare a ritrovarsi nell'identità delle formazioni politiche fino ad oggi bistrattata il nome di un mandato popolare che si è rivelato in ogni cosa impossibile da perseguire per le agitate vicende dei governi di questa cosiddetta Seconda Repubblica. L'incontro eventuale, determinato da necessità numeriche per far nascere il governo, avverrebbe in Parlamento con una seria e pubblica negoziazione e la fissazione di un programma dettagliato, come avviene nelle grandi democrazie europee, a partire dalla Germania. Questo non vuol dire in alcun modo voglio precisare andare alle elezioni manifestando la volontà o la certezza di produrre un consimile accordo innaturale, perché cio' regalerebbe un prezioso spazio al Movimento 5 Stelle, che per statuto non si coalizza. Una condizione, questa, che al tempo stesso realizza la forza, che appunto è quella dell'identità e della purezza, e il limite, ovvero l'estrema difficoltà e forse l'assenza di disponibilità a divenire forza di governo.

La vittoria del SI al referendum ci avrebbe precipitato in uno scenario completamente diverso?

Bisogna distinguere. Non sono tra quelli che ricollega la pronuncia di incostituzionalità della legge elettorale alla vittoria del No al referendum. Era risaputo che la legge elettorale presentasse profili di pressocche' certa incostituzionalità e non è certamente per motivi di opportunità che la Corte Costituzionale li ha rilevati. Detto questo, la vittoria del SI al referendum a mio avviso avrebbe chiuso la questione della grande riforma istituzionale, ma ammodernare in modo significativo la nostra organizzazione costituzionale non avrebbe affatto chiuso la transizione. La quale in realta' dipende non da l'inadeguatezza delle regole, ma della debolezza nella politica e dalla mancata strutturazione di un sistema partitico dopo il crollo di quello precedente. Soltanto ripartendo dalla cultura e dall'attenzione per le organizzazioni sarà possibile chiudere la transazione italiana recuperando le storture che si sono realizzate a beneficio dei poteri tecnici, della magistratura e anche dell'Unione Europea. La quale, preciso, non ci impone nulla ma semplicemente porta ad esecuzione quanto è già stato deciso con il consenso del nostro paese, ancorche' spesso in modo poco consapevole. Tuttavia non nascondo il fatto che la debolezza nella politica ha portato anche ad una interpretazione distorta della nostra forma di governo, e qui prima ancora che l'inadeguatezza delle regole costituzionali mi sembra evidente l'inadeguatezza della loro interpretazione. Quando facevo riferimento alla normativa sulle coalizioni pre-elettorali facevo riferimento esattamente ad uno dei possibili esempi di questo eccezionalismo italiano che non ci ha risollevato, ma anzi probabilmente ha contribuito al declino del paese. Ricordiamo che la nascita e l'incredibile progressione del Movimento 5 Stelle è stato il diretto frutto del quasi default del paese, per sterili alternanze al potere di coalizioni pre-elettorali tanto capaci di vincere le elezioni quanto incapace di governare. fino al punto che il sistema tutto ha perso di credibilità. Un problema di idee e di classe dirigente, evidentemente.

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